Integrazione dei sistemi di accumulo negli impianti fotovoltaici residenziali: utopia o realtà?
L’offerta nel campo dei sistemi di accumulo destinati agli impianti privati è in costante miglioramento. I clienti possono infatti beneficiare di proposte sempre più complete e variegate. Nomi noti di prima grandezza come Daimler e Tesla esercitano pressione sul mercato e potrebbero dar vita a cambiamenti decisivi. Schede tecniche, opuscoli e comunicati stampa di molti dei sistemi oggi disponibili decantano i concreti vantaggi di un’integrazione a posteriori dell’accumulo. Si tratta di un mercato isolato o di un business dal grande potenziale?
In Germania, per quanto riguarda i sistemi di accumulo per impianti privati il ruolo centrale spetta chiaramente alle nuove installazioni. Gli incentivi finanziari del governo federale tedesco riguardano infatti solo queste ultime. Chi già gestisce un impianto resta a bocca asciutta. Dal 2009 la Legge tedesca sulle energie rinnovabili (EEG) consente l’autoconsumo. I sistemi installati prima del 2013 ricevono una remunerazione dell’energia immessa che rende poco allettante l’integrazione dei sistemi a batteria prima dello scadere dei 20 anni di esercizio. Gli analisti della PricewaterhouseCoopers prevedono pertanto che soltanto fra alcuni anni – fra il 2019 e il 2022 – si potrà apprezzare un aumento numericamente rilevante dei casi di integrazione di sistemi di accumulo.
Casi d’uso sui mercati fotovoltaici privati
A livello mondiale vi sono alcuni interessanti mercati che vantano un numero molto elevato di impianti residenziali. Tralasciando la Germania, in Europa vale la pena di soffermarsi anche sui paesi del Benelux e in parte su Francia, Italia e Gran Bretagna. Sul piano globale bisogna poi ricordare anche Australia, Giappone e Stati Uniti. In questi paesi esistevano o esistono tuttora modelli specifici di incentivazione volti a promuovere una produzione di energia decentralizzata. E sono proprio questi modelli ad aver spianato la strada al mercato dello storage.
Fine in vista negli Stati Uniti per lo scambio sul posto?
Gli USA sono una delle maggiori potenze economiche mondiali, motivo per cui gli sviluppi che li riguardano sono sempre di particolare interesse. Il mercato statunitense degli impianti fotovoltaici ha vissuto una forte crescita negli ultimi anni, ma qui l’accumulo di energia presenta uno svantaggio molto semplice: perlomeno negli stati più soleggiati lungo la costa occidentale, il modello di remunerazione più diffuso nel campo della produzione decentralizzata è rappresentato dal cosiddetto “Net Metering” (lo scambio sul posto: un meccanismo di conteggio in base al quale l’energia elettrica immessa in rete viene accreditata al proprietario dell’impianto). Facciamo un po’ di chiarezza: un cliente con un generatore decentralizzato, come ad es. un impianto fotovoltaico, può produrre di giorno più energia elettrica di quanta ne consumi effettivamente. Se si applica il “Net Metering”, il contatore gira in questo caso all’indietro. L’energia consumata di notte viene dunque compensata con quella accreditata per l’immissione diurna. La fatturazione si basa quindi esclusivamente sul consumo “netto” di energia del cliente. In questo caso, la rete funge sostanzialmente da sistema di stoccaggio senza perdite che il cliente può sfruttare senza dover sostenere alcun costo. Sembra il paese dei balocchi…
Alla fin fine, negli Stati Uniti i sistemi di accumulo privati erano pertanto finora considerati come una semplice soluzione di backup in caso di interruzione della fornitura di energia elettrica e nessuno ha mai pensato che la situazione potesse cambiare. È nato quindi un mercato di nicchia per chi teme i blackout, ma era difficilmente prevedibile lo stesso si sviluppasse in un mercato di massa. Sebbene fosse chiaro a tutti che prima o poi lo scambio sul posto sarebbe scomparso dal mercato, nessuno aveva idea di quando e di come ciò sarebbe potuto avvenire. Alla fine dello scorso anno la situazione è cambiata in modo improvviso e molto più rapido di quanto si potesse prevedere. Il governo del Nevada ha stabilito una nuova struttura tariffaria, decretando la fine del “Net Metering” a partire dal 1o gennaio e arrivando addirittura al punto di applicare retroattivamente la nuova legge, in combinazione con una tariffa a fasce orarie, anche a tutti i sistemi già installati. Per chi punta alla redditività, l’integrazione di un sistema di accumulo nell’impianto fotovoltaico è diventata così la prima scelta. Alcune delle grandi aziende che operano nel cosiddetto regime di “third party ownership” – le quali detengono una gran parte della base di impianti installati, che mettono a disposizione dei propri clienti attraverso formule di leasing – cercheranno di opporsi a questa decisione con tutti i mezzi. Qualora non dovessero farcela, il “caso Nevada” potrebbe fungere da precedente per altri stati federali e comportare la fine dello scambio sul posto.
Le prospettive di un mercato orientato all’integrazione dei sistemi di accumulo migliorano anche negli altri paesi
In Australia la maggioranza dei proprietari di impianti beneficia di sistemi di remunerazione classici. Sotto il profilo della durata, le condizioni quadro variano tuttavia rispetto ai modelli tedeschi, per i quali la connessione di un impianto segna l’inizio di un periodo di 20 anni durante i quali viene pagato un prezzo garantito al kilowattora. Nel Nuovo Galles del Sud gli incentivi pagati per gli impianti residenziali privati scadranno il 31 dicembre 2016. Da quel momento in poi nessun gestore di impianto riceverà più alcuna retribuzione per l’energia immessa nella rete pubblica. L’unica soluzione sarà dunque l’autoconsumo. E un sistema di accumulo è in grado ottimizzare ulteriormente la quota di energia fotovoltaica prodotta utilizzata in modo diretto. Anche questo è un mercato dove la domanda si concentrerà sull’integrazione dello storage.
C’è motivo di credere che il mercato dell’accumulo domestico assumerà una maggiore importanza anche in Gran Bretagna. Qui il modello di remunerazione consente l’autoconsumo fin dall’inizio. Sarebbe dunque possibile equipaggiare di batterie aggiuntive circa 700 000 impianti privati residenziali senza alcun ostacolo normativo. Le speculazioni sui numeri dell’autoconsumo non costituiscono di per sé un business case convincente, ma lo sviluppo dei prezzi dell’energia elettrica potrebbe comportare assieme alle previste tariffe a fasce orarie un ulteriore sconvolgimento. Questa combinazione comporta casi d’uso bivalenti, che rendono necessaria una chiara separazione di produzione e accumulo. E ciò può funzionare solo se i sistemi sono idonei per l’integrazione.
Sembra quindi che siamo giunti al punto di ribaltare la discussione originaria: in molti degli odierni mercati principali, l’integrazione dell’accumulo nei sistemi fotovoltaici ricopre un ruolo evidentemente decisivo per il successo dello stoccaggio di energia.
C’è una tecnologia specifica che consente di integrare i sistemi di accumulo negli impianti fotovoltaici esistenti?
L’integrazione presuppone un impianto preesistente, dotato di un generatore fotovoltaico dimensionato per le specifiche caratteristiche del tetto e di un inverter conforme alle disposizioni dell’utility vigenti alla data della messa in servizio. Nella maggior parte dei casi i clienti non desiderano sostituire l’inverter fotovoltaico già disponibile. In particolare, negli Stati Uniti la maggioranza degli impianti realizzati negli ultimi anni prevede microinverter collegati direttamente ai moduli fotovoltaici. E anche quando un cliente è disposto a sostituire il proprio inverter, generalmente ciò non è consigliabile sotto il profilo tecnico.
I sistemi idonei per l’integrazione dell’accumulo devono poter essere collegati direttamente all’impianto domestico, di solito vicino alla distribuzione principale. A tale scopo è necessaria una struttura flessibile per la quale l’unica soluzione idonea è la combinazione di un sistema di stoccaggio e un inverter con batteria. In un precedente articolo per Energy Storage News (disponibile in lingua inglese all’indirizzo) abbiamo descritto le differenze tecniche fra l’accumulo in corrente alternata e quello in corrente continua.
Una volta fatta un po’ di chiarezza sulla situazione, non deve quindi sorprendere che i tre principali fornitori tedeschi attivi in questo segmento di mercato si concentrino su soluzioni flessibili collegate sul lato CA. Non appena le aziende elettriche promuoveranno i sistemi decentralizzati a batterie quali impianti di accumulo virtuale per l’ottimizzazione della rete, il collegamento diretto agli impianti fotovoltaici sarà definitivamente accantonato. I punti di forza delle soluzioni in corrente continua con inverter ibridi riguardano le nuove installazioni, in particolare quando l’obiettivo principale è l’autoconsumo, il tetto è abbastanza regolare e rettangolare e non vengono impiegati inverter di modulo. Per tutti gli altri sistemi – in particolare in caso di integrazione a posteriori dell’accumulo – il collegamento in corrente alternata è la soluzione più corretta.
L’articolo è stato originariamente pubblicato su PV Tech Storage Blog.
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